In un mondo segnato da cambiamenti rapidi e interconnessioni sempre più complesse, l’apertura e la mentalità volta all’apprendimento diventano competenze fondamentali per individui, leader e organizzazioni.
Questo articolo esplora in profondità l’Inner Development Goal dedicato a questa dimensione trasformativa, intrecciando riflessioni teoriche, riferimenti a studiosi come Carol Dweck, Otto Scharmer, Gregory Bateson, esempi pratici ed esercizi quotidiani.
Coltivare apertura significa imparare a vedere con occhi nuovi, a riconoscersi dentro i sistemi di cui si fa parte, a immaginare futuri diversi. Un invito a restare curiosi, a sospendere il giudizio e a vivere l’apprendimento come pratica di senso, di relazione e di cambiamento.
'Apertura e mentalità volta all'apprendimento' è l’Inner Development Goal che esploriamo questa volta e che nel Framework IDG è descritto come “Avere una mentalità di base di curiosità e la volontà di essere vulnerabili e di abbracciare il cambiamento e la crescita” e che troviamo nella dimensione dell''Essere'.
Abitare la complessità con curiosità, coraggio e umiltà
Viviamo in un’epoca in cui le certezze si sciolgono come neve al sole. La realtà ci interroga con una complessità sempre più densa: crisi ecologiche e politiche, accelerazioni tecnologiche, fratture sociali, polarizzazioni culturali.
In questo scenario, l’idea di sapere già tutto, di avere risposte preconfezionate o di poter controllare ogni variabile, non è solo illusoria: è pericolosa.
Ma c'è un’alternativa potente e radicale. Una strada che ci invita a rispondere all’incertezza non con la chiusura, ma con l’apertura. A sostituire l’ansia da prestazione con la curiosità autentica. A scegliere non la perfezione, ma l’apprendimento continuo.
È proprio questa la direzione indicata da questo Inner Development Goal che è tra quelli più trasformativi.
Questo IDG, infatti ci invita a coltivare una disposizione interiore fatta di desiderio di esplorare, disponibilità a lasciarsi cambiare, capacità di guardare il mondo (e noi stessi) con occhi nuovi.
Una postura tanto personale quanto collettiva, che riguarda la crescita individuale ma anche le culture organizzative, i modelli di leadership, le nostre relazioni.
Oltre l’apprendimento come prestazione: imparare come modo di essere
Troppo spesso confondiamo l’apprendimento con l’accumulazione di contenuti, con la formazione formale, con la performance cognitiva. Ma l’apprendimento trasformativo è un’altra cosa. È, come direbbe il filosofo Gregory Bateson, “un apprendere ad apprendere”, un processo che coinvolge non solo la mente razionale ma anche il corpo, le emozioni, l’identità.
Imparare davvero significa:
- Disimparare ciò che pensavamo certo
- Sospendere il giudizio per entrare nello spazio dell’inatteso
- Lasciarci toccare dall’alterità e dal non noto
- Fare pace con la nostra vulnerabilità.
È una postura esistenziale, più che una tecnica. Una forma di umiltà attiva.
Come ci ricorda la psicologa Ellen Langer, pioniera della teoria della mindfulness in ambito cognitivo, essere presenti con apertura mentale significa adottare un atteggiamento curioso e non giudicante nei confronti della realtà.
Langer parla di "mindfulness" come dell'atto di notare nuove cose, restare sensibili al contesto e abbandonare la rigidità delle categorizzazioni automatiche. È proprio questa attenzione viva e situata che apre le porte all'apprendimento autentico.
Il contributo della teoria del “growth mindset”
Un riferimento essenziale in questo campo è il lavoro di Carol Dweck, psicologa della Stanford University, che ha introdotto il concetto di growth mindset (mentalità di crescita), in contrapposizione al fixed mindset (mentalità fissa).
Nella sua ricerca, Dweck ha mostrato che il modo in cui interpretiamo le nostre capacità incide profondamente sul nostro sviluppo.
Chi ha un mindset fisso pensa che le qualità personali siano immutabili: se sbaglio, significa che non sono abbastanza bravo.
Chi ha un mindset di crescita crede che le proprie competenze possano essere sviluppate: se sbaglio, ho trovato un’occasione per imparare.
Questa semplice ma potente distinzione ha profonde implicazioni per la scuola, il lavoro, la leadership, le relazioni.
Risuona qui anche il pensiero di Paulo Freire, educatore e filosofo brasiliano, che ha sottolineato come l’educazione debba essere un atto di libertà e di consapevolezza critica.
Secondo Freire, solo attraverso un apprendimento dialogico e reciproco, in cui le persone diventano co-autori del proprio sapere, è possibile generare trasformazioni individuali e sociali.
L'apertura diventa allora un atto politico, una scelta per emanciparsi da modelli dominanti e costruire nuove narrazioni collettive.
Inoltre, il growth mindset non è una dote innata: è una competenza che si può allenare, proprio come un muscolo. Ogni volta che scegliamo di restare aperti invece di chiuderci, di chiederci “Cosa posso imparare?” invece di giudicare, stiamo praticando questa forma di intelligenza.
Una competenza per persone, leader e team
Per le persone: coltivare la curiosità come alleata
A livello individuale, l’apertura e la mentalità di apprendimento sono leve per la nostra evoluzione profonda. Ci aiutano a uscire da narrazioni identitarie limitanti ("non sono portato per questo", "sono fatto così") e ci offrono la possibilità di reinventarci.
Ci chiedono, però, di abitare l’errore. Di smettere di viverlo come fallimento e iniziare a considerarlo una parte fisiologica del nostro cammino. Chi impara è vivo, e chi è vivo commette errori.
Ci chiedono anche di lasciarci sorprendere. Di mantenere vivo lo sguardo dell’infanzia, quello capace di vedere il possibile anche dove gli adulti vedono solo problemi. In una parola: di coltivare la meraviglia.
Una delle qualità più sottili e potenti che possiamo nutrire, in questo senso, è la capacità di osservare senza pre-giudizio.
Significa imparare a vedere ciò che c’è — nelle situazioni, nelle persone, nei contesti — senza sovraccaricarlo di interpretazioni immediate, proiezioni, aspettative.
Significa sviluppare quella che Otto Scharmer - docente del MIT di Boston e autore della "Teoria U" - nel processo di Presencing, definisce "open mind": la mente che sospende il giudizio per poter accedere a una visione più profonda del reale.
Questa attitudine trova un’eco antica nel pensiero orientale e in particolare nello zen, che parla di “mente del principiante” (shoshin). È la mente di chi guarda le cose come se fosse la prima volta. Libera dall’illusione del già noto. Aperta, curiosa, non arrogante.
Solo con questa mente possiamo veramente apprendere. E solo con questa mente possiamo davvero incontrare l’altro, il nuovo, il futuro.
Anche Francisco Varela, biologo e filosofo cileno, ha sottolineato l'importanza di un'epistemologia incarnata, che riconosce la co-emergenza tra osservatore e osservato.
Per Varela, la conoscenza nasce dall'interazione viva tra chi apprende e il contesto, e l'apertura è ciò che permette di essere presenti in modo autentico nel processo. L'apprendimento, in questa prospettiva, non è trasmissione, ma trasformazione reciproca.
Per i leader: imparare a imparare insieme
Nel mondo della leadership, questa postura cambia tutto. Un leader aperto all’apprendimento:
- non ha bisogno di avere tutte le risposte, sa che può cercarle con il team
- non nasconde le proprie incertezze, le espone per creare spazi di fiducia
- non difende il proprio status, ma lo mette a servizio di un’intelligenza collettiva.
Come ci ricorda Otto Scharmer, il leader del futuro è colui che sa ascoltare profondamente, non solo gli altri ma anche se stesso. Che sa sospendere il giudizio e accedere a uno spazio generativo dove le nuove possibilità possono emergere.
Domande potenti per aprire spazi di apprendimento
Una delle pratiche fondamentali per attivare l’apprendimento è farsi le domande giuste. Domande che non cercano conferme, ma nuove prospettive. Puoi usare queste, proposte alla community degli IDG practicioner, come stimoli di riflessione personale e organizzativa:
per l'individuo
"Come rimango aperto quando ho un’opinione diversa?"
"Sono davvero disposto ad avere una mentalità esplorativa quando incontro visioni molto diverse dalla mia?"
per l'organizzazione
"Come affronta la mia organizzazione le difficoltà che emergono nei processi e nella strategia?"
"La mia organizzazione è sinceramente disposta ad adottare una posizione esploratrice, anche quando emergono punti di vista molto diversi da quelli dominanti?"
Pratiche quotidiane per allenare apertura e apprendimento
Ecco alcune pratiche, semplici ma profonde, per allenare nel quotidiano questa dimensione:
Diario della meraviglia
Ogni sera, scrivi tre cose che ti hanno stupito durante la giornata. Possono essere piccole: una frase ascoltata, un colore, un gesto gentile. Questo esercizio ti aiuta a restare in contatto con il nuovo anche dentro la routine.
Mappa dei pregiudizi
Disegna una mappa mentale dei tuoi 'automatismi di pensiero'. Su quali argomenti sei più rigido? Dove fai fatica ad ascoltare chi la pensa diversamente? Osserva senza giudicarti. È il primo passo per aprirti.
Settimana dell’ascolto
Per una settimana, impegnati a fare una domanda in più e a dare un’opinione in meno. Chiedi agli altri cosa pensano. Ascolta. Non interrompere. Lascia sedimentare. Pratica il silenzio attivo.
Lezioni dall’errore
Ogni settimana, individua un piccolo fallimento e chiediti: cosa ho imparato? Quale messaggio portava con sé? Cosa posso fare diversamente la prossima volta?
Conversazioni radicali
Cerca il confronto con una persona che ha idee molto diverse dalle tue su un tema che ti sta a cuore. Non per convincerla, ma per ascoltarla. Chiediti dopo: cosa ho compreso che prima non vedevo?
Costruire una cultura dell’apprendimento nelle organizzazioni
Un’organizzazione che vuole essere viva, resiliente, sostenibile deve investire nell’apprendimento come pratica sistemica, non come evento isolato. Ecco alcune leve chiave, con esempi pratici di come possono essere usate:
Leadership riflessiva: leader che dedicano tempo alla metariflessione, e lo legittimano nei team.
Ad esempio, alcuni manager riservano ogni settimana un'ora per scrivere nel proprio diario professionale riflessioni su cosa stanno apprendendo, e condividono regolarmente queste riflessioni con il team per stimolare un apprendimento reciproco.
Spazi sicuri per il feedback e il fallimento: dove imparare dall’errore è incoraggiato e non punito.
Ad esempio, alcune organizzazioni organizzano periodicamente dei momenti dedicati in cui i team condividono esperienze di insuccesso e ciò che hanno imparato, favorendo una cultura della vulnerabilità e del miglioramento continuo.
Comunità di pratica e peer learning: apprendere tra pari, condividere esperienze, riconoscere il sapere diffuso.
Alcune aziende attivano gruppi trasversali di scambio tra colleghi di diverse aree per riflettere su sfide comuni, promuovendo così un apprendimento informale e contestuale.
Apprendimento continuo basata sull’esperienza: meno contenuti, più trasformazioni. Meno slide, più dialoghi.
Alcune organizzazioni progettano workshop immersivi dove si lavora su casi reali dell'azienda, utilizzando metodi come il design thinking o il teatro d'impresa per favorire la partecipazione attiva e il pensiero laterale.
Narrazioni di apprendimento: raccontare cosa si è imparato, come si è cambiati, perché.
Le storie ispirano. In alcune realtà, alla fine di ogni progetto, i team tengono una "Learning retrospective" in cui ciascuno condivide il proprio apprendimento personale, dando voce ai cambiamenti interiori oltre che ai risultati.
Coltivare un ambiente lavorativo orientato all’apprendimento significa anche potenziare la capacità innovativa delle organizzazioni.
Le aziende che si aprono alla sperimentazione, che imparano dai propri errori e che valorizzano il confronto tra punti di vista differenti, sono anche quelle più capaci di generare innovazione sociale.
L’innovazione sociale nasce spesso proprio da una postura di ascolto e apertura: verso i bisogni emergenti della società, verso forme di collaborazione inedite, verso nuove visioni di sviluppo sostenibile e inclusivo.
Una mentalità di apprendimento permette di riconoscere segnali deboli, leggere il contesto in modo sistemico, immaginare risposte diverse e creare valore condiviso.
Le organizzazioni che coltivano l’apertura non solo si adattano meglio al cambiamento, ma possono diventare agenti di cambiamento.
Possono contribuire a trasformare i sistemi sociali, economici e culturali di cui fanno parte, mettendo in circolo nuove narrazioni, nuove pratiche e nuove possibilità di futuro.
Aprire lo sguardo: l'apprendimento come accesso alla visione sistemica
L’apertura non solo ci permette di imparare, ma è la condizione per allargare lo sguardo, per accedere a una comprensione più ampia del mondo.
Solo chi è disposto a lasciarsi interrogare, a mettersi in discussione, a esplorare ciò che non conosce, può davvero iniziare a cogliere la visione d’insieme, quella che i sistemi complessi richiedono.
L’apertura alimenta la capacità di pensare sistemicamente, di vedere le interconnessioni, le relazioni invisibili, le dinamiche non lineari. Ma ci invita anche a vederci dentro il sistema: non osservatori esterni, ma partecipanti attivi, influenzati e influenti.
Inoltre, chi coltiva una mentalità di apprendimento è più incline a sviluppare una visione non solo più ampia nel presente, ma anche più profonda nel tempo.
La curiosità, il desiderio di comprendere davvero, ci portano ad esplorare le conseguenze di lungo termine, a chiederci come le nostre azioni di oggi influenzeranno il domani. Questa prospettiva, fondamentale per la sostenibilità, nasce proprio dall’apertura.
Come affermano molti approcci evolutivi e trasformativi, non si può vedere ciò che non si è disposti ad accogliere.
Gregory Bateson, teorico della cibernetica e della comunicazione ecologica, ci ha insegnato che apprendere significa cambiare i propri schemi percettivi e relazionali.
Nella sua visione sistemica, ogni atto di apprendimento autentico comporta un cambiamento nel modo in cui vediamo le connessioni.
L’apertura, dunque,oltre ad essere un atteggiamento mentale, costituisce un passaggio di livello nella nostra capacità di comprendere il mondo come rete interdipendente di relazioni.
L’apertura diventa allora una condizione epistemica, un requisito per generare una conoscenza capace di onorare la complessità del vivente.
Conclusione: apprendere come scelta politica
In definitiva, scegliere una mentalità aperta all’apprendimento è anche una scelta etica e politica.
È dire “no” alla chiusura, al cinismo, all’indifferenza. È scegliere di credere che possiamo sempre crescere. Come individui. Come organizzazioni. Come specie.
E se è vero - come ci insegna la scienza della complessità - che ogni sistema vivente si rinnova solo se è in grado di apprendere, allora l’apertura all’apprendimento non è solo una virtù personale. È una condizione per lo sviluppo e la prosperità delle nostre comunità.
Restare aperti, anche quando è difficile, è un atto di fiducia. È scegliere di continuare a imparare, e quindi a vivere.